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mercoledì 10 settembre 2008

Milano Vintage Workshop(R) 15-19 sett 08

Torna a Milano Vintage Workshop® dal 15 al 19 settembre 2008


Milano S.Siro/Fiera
15-Set-08 al 19-Set-08


Torna a Milano VINTAGE WORKSHOP® l'evento espositivo dedicato al Vintage di qualità con una presentazione speciale sugli accessori d'epoca per l'Autunno/Inverno ed una importante iniziativa umanitaria.


L'appuntamento è fissato all'Admiral Hotel di Milano, in Via Domodossola 16, giusto di fronte alla Porta Domodossola di Fieramilanocity dal 15 al 19 settembre prossimi per una presentazione di accessori d'epoca di ricerca che incrocerà le proprie date nei primi due giorni con la vicina ANTEPRIMA PELLE e dal secondo giorno in poi con MILANOUNICA-Moda In.

In questa edizione dell'esposizione-vendita, ampio spazio sarà dato agli accessori d'epoca, borse, scarpe, cinture, piccola pelletteria, valigeria, cappelli, fibbie, collane, bracciali, spille in particolare dal 1900 al 1980. Tutto sarà esposto per la prima volta, soprattutto ciò che difficilmente si può vedere a fiere e mercati Vintage.

Vi sarà il griffatissimo ma soprattutto l'anonimo di ricerca inteso come pezzo unico o comunque ad alto contenuto stilistico.

Per quanto riguarda invece l'abbigliamento in mostra, in questa edizione i soci fondatori dell'Associazione Culturale Ricercatori Moda d'Epoca hanno accolto con piacere la proposta di ospitare un'iniziativa collaterale a scopo benefico che sarà intitolata VINTAGE FOR MALI. Si tratta di una grande vendita di beneficenza di un intero guardaroba vintage capi dagli anni '40 agli '80 del Novencento, promossa dall'Associazione umanitaria con denominazione "Kanagà 2008" e slogan "Operazione MalinCuor", la cui principale mission sarà rivolta alla solidarietà umana e all'impegno concreto per il miglioramento della qualità di vita degli abitanti dei Paesi in via di sviluppo. Durante la manifestazione sarà inoltre visitabile la mostra fotografica "Operazione MalinCuor", dedicata ai panorami e ai volti dell'etnia dei Dogon, a cura di Paolo Francesco Vago e Monica Fermi.

R I F E R I M E N T I:

VINTAGE WORKSHOP ® I ricercatori della moda d'epoca

Sede espositiva:

Admiral Hotel, Milano, Via Domodossola 16,

(fronte Porta Domodossola di Fieramilanocity)

Infoline via sms: +39-339-6729704

Orari di apertura:

15 settembre: 13/20

16/19 settembre: 9/20 non stop

Ingresso: libero

Associazione Culturale Ricercatori Moda d'Epoca:
Sito ufficiale: www.vintageworkshop.it
Email visitatori: info @ vintageworkshop. it


Associazione Umanitaria Kanagà 2008, sede legale:
Via Pirandello n.20 29027 Podenzano (PC). Tel. Presidenza 339/2886299

Email: kanaga.2008.associazione@gmail.com

Si ringraziano per la collaborazione:
Comune di Podenzano (PC); Zurich® -Agenzia 062 di Milano; Corrieredelweb.it; Pivari.com;Fashionblog.it


Ulteriori informazioni e foto possono essere visualizzati sul blog tematico: http://vintagevents.blogspot.com


Immagini
Kijiji: Torna a Milano Vintage Workshop® dal 15 al 19 settembre 2008
Kijiji: Torna a Milano Vintage Workshop® dal 15 al 19 settembre 2008 Kijiji: Torna a Milano Vintage Workshop® dal 15 al 19 settembre 2008 Kijiji: Torna a Milano Vintage Workshop® dal 15 al 19 settembre 2008 Kijiji: Torna a Milano Vintage Workshop® dal 15 al 19 settembre 2008 Kijiji: Torna a Milano Vintage Workshop® dal 15 al 19 settembre 2008



Comunicazione e Marketing Perla <comunicazionenuova@libero.it>


venerdì 17 novembre 2017

AMY D Arte Spazio, Milano: mostra "TUTTO TORNA - It makes sense"


TUTTO TORNA - It makes sense

Mostra personale di Mattia Novello a cura di Sabino Maria Frassà

AMY D Arte Spazio - Project economART
Con il Patrocinio di CRAMUM

Media Partner - Ama Nutri Cresci
Inaugurazione: giovedì 30 novembre, ore 18:00
30 novembre - 13 gennaio 2018

c.s: Anna d'Ambrosio

Ritorna a Milano Mattia Novello con una mostra personale negli ampi spazi della galleria AMY D arte spazio curata da Sabino Maria Frassà e con il Patrocinio di CRAMUM. L'artista, nato a Vicenza nel 1985, presenta in TUTTO TORNA - IT MAKES SENSE una nuova serie di lavori completamente inediti e pensati appositamente per l'ambiente che li accoglie. 

Nei tre grandi ambienti in cui si divide la galleria milanese – che da sempre ci ha abituati ad esposizioni di livello museale con allestimenti di opere mai solo "inserite" ma riverberanti l'unicità dell'atto espositivo – opere come Space Telepathy (2017), I Love You (2017), Athomico (2017) connotano ogni angolo dello spazio. 
Le opere e lo spazio sono unite in una scansione plastico-scultorea di una realtà "aumentata" ad opera dell'artista: piegature, distorsioni, sovrapposizioni e modulazioni, articolate in più elementi sezionati o alternati, individuano inedite manifestazioni tangibili di forze altrimenti inudibili per quanto latenti e pronte a dichiarare la propria validità fisica. 
La concretezza delle materie basiche agisce come transfer la cui tensione minimale apre ad una rivoluzione del luogo dove "agiscono". 
Il linguaggio espressivo si fonda così su un'essenza intrinsecamente installativa che rende l'opera nuova, altra e diversa a seconda del suo verificarsi nel dove e nel quando si presenta alla nostra percezione.
Come scrive Sabino Maria Frassà nel suo testo critico "In tutte le sue opere Mattia Novello cerca di cogliere l'essenza della realtà, arrivando alla conclusione che il tempo sia circolare, che il presente, il passato e il futuro coesistano in un unico eterno presente, che l'infinitamente piccolo sia al contempo infinitamente grande".

Ore di lavoro sulla materia sono al centro del processo creativo e artistico di Mattia Novello, che da sempre esplora le qualità intrinseche a tutte le tipologie di materiali impiegatial fine di sollecitarne tutte quelle potenzialità fisico-espressive altrimenti inespresse.

Erede della tradizione "poverista" nell'uso dei materiali e nel rapporto tattile, e non solo concettuale, con gli oggetti di cui si appropria, Mattia Novello crea sculture nel loro uso dello spazio, vitali nella loro capacità di catturare energia anche attraverso un feedback ludico.
Le sue opere nascono dalla manipolazione ingegneristico-poetica di materiali selezionati e di nuova generazione trasformati in utopiche installazioni.

Il risultato è una mostra che non può che catturare e restituire a tutti noi rinnovata energia, vitalità e un approccio diverso alla realtà che ci circonda. 

Dall'incontro tra l'artista e la progettualità della galleria milanese AMY D Arte Spazio, da sempre impegnata nella sperimentazione di smartmaterials, sono  nati progetti e partecipazioni, tra cui Falling Up del 2013, The trasparent dream del 2014, Memorie di equilibrio del 2015, Equilibrio, Festival della Scienza di Ge, Premio Cairo 2015, Premio MIchetti 2016, LIDuP con il Politecnico di MI 2017.

AMY D Arte Spazio
Via Lovanio 6, Milano | MM2 Moscova
t. +39.02.654872 
Lunedì/venerdì ore 10/13 e 15/19, sabato e festivi su appuntamento


SELECTED EXHIBITIONS 
2017
LIDuP, Politecnico Milano_AMY D arte Spazio, solo show, Politecnico Milano Italy
L'equilibrio del tempo-Solo show-Museum of Contemporary Art Trapani Italy
Morfologia dello spazio – Photos from 2008 to 2016, solo show, Crag Gallery, Turin
London Art Fair, Crag Gallery, Business Design Center, London
2016
Miami Art Contest, Ai BO Gallery (NY), Miami
Premio Michetti, AMY D gallery_Fondazione Michetti, Finalist, Francavilla, CH
Art New York – Art Fair, Ai BO Gallery (NY)
Art Prize CBM, III Edition (finalist category over30) Art Salon S Gallery, Dancing House, Prague (catalogue)
2015
Art Miami – Art Fair, Miami, Ai BO Gallery (NY)
SET UP Art Fair, Selected artist for the solo show, Flaviostocco Gallery, Bologna,
Italy Donkey Art Prize, finalist, Fondazione spazio Folli, Milano, Italy (catalogue)
Premio Cairo, AMY D gallery_finalist, Museum Palazzo La Permanente di Milano, Italy (catalogue)
Memorie di equilibrio, project economART AMY D arte spazio, Milano, Italy
Art Prize CBM, III Edition, (finalist category over30), Areacreativa42, Rivarolo (TO), Italy (catalogue)
Equilibrio, Festival della Scienza GE, AMY D arte spazio, Palazzo della Borsa di Genova 
2014
The Transparent dream (introduction of nanotechnology in art), Amy-D arte spazio, solo show, Milano, Italy
2013
FALLING UP, AMY-D arte spazio, solo show, Milano Italy
PHOTISSIMA Art Fair, Amy-D arte spazio,Venezia Italy
2012
NASCITA INDIVIDUO LIBERO, solo show, Flaviostocco gallery, Castelfranco, Italy
NASCITA INDIVIDUO LIBERO, solo show, Villa Bolasco, Castelfranco, Vto. Italy
2011
Design Wall, AIGA Museum, New York



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www.CorrieredelWeb.it

lunedì 17 gennaio 2011

LA PERSONALE DI FRANCESCO VISALLI - "REALTÀ ALTERNATIVA"

Inaugurazione giovedì 20 gennaio 2011 alle 19.30 Casa Cetus, Via Ruderi di Torrenova, 39 (uscita 18 GRA - Casilina) Roma

Cetus rinnova l'appuntamento con l'arte italiana emergente con la personale del talentuoso artista Francesco Visalli, a cura di Francesco Melidoni. Le sue opere mostrano lo spirito libero dell'arte. Le sue forme e geometrie sono definite da una sottile linea bianca che corre tra colori i quali non si toccano mai, linea che è lasciata dalla tela, perché è la tela che disegna il dipinto; le sue figure fintamente serafiche sono un sottile diaframma tra l'occhio dello spettatore e l'animo del creatore che, come a nascondersi da se, "vuole" smorzare il vortice dei suoi drammi e delle sue vittorie

dietro quelle forme lontane e un po' assenti; oppure il lanciarsi con coraggio verso nuovi orizzonti infiniti, dove dietro un cielo c'è un altro cielo, scenari di una cosmica realtà. Ottiene opposti risultati, come potrebbero essere una calma urlata a squarciagola, una gelida arsura, una vorticosa immobilità. I suoi quadri, senza la sua partecipazione, rendono manifesta la sua vita passata e futura, un turbinio di spasimi e tormenti vissuti come dalla parte sbagliata di un binocolo, sempre spostati un po' più in la dal cuore, in una "Realtà Alternativa".

La mostra personale di Francesco Visalli, che inaugurerà al pubblico il 20 gennaio 2011 alle 19.30, si pone all'interno della rassegna che in quattro anni ha valorizzato oltre cinquanta artisti, suscitando notevole interesse da parte del pubblico e della critica.

La location, questa volta, sarà la sede centrale di Cetus, in via Ruderi di Torrenova, 39 (zona Casilina) Roma. Tra ambientazioni scenografiche e un arredamento particolare realizzato con mobili di design, il mondo dell'arte trova il palcoscenico ideale per mettersi "in mostra".

Con tale esposizione Cetus conferma il suo impegno nel valorizzare l'arte visiva in tutte le sue forme. L'iniziativa, infatti conferma la particolare attenzione che Cetus rivolge ai vari mezzi di

comunicazione per trasmettere la propria filosofia di vivere spazi e ambienti in modi sempre nuovi e alternativi.

La mostra, inoltre, sarà aperta al pubblico dal 20 gennaio al 22 febbraio 2011, dal martedì al sabato, dalle ore 9.30 alle ore 13 e dalle 15.30 alle 19.30.

Info: Casa Cetus - Via Ruderi di Torrenova, 39 - Roma. Tel. 06-20071

L'ARTISTA

Francesco Visalli nasce nel 1960, figlio di un impiegato delle poste e una maestra. Cresce in uno dei quartieri più poveri e malfamati di Roma, quel "Borghetto Prenestino" reso noto dai ragazzi di vita di Pierpaolo Pasolini. A 14 anni perde il padre e questo evento segnerà profondamente la sua vita. Francesco è figlio unico ed è costretto a cercarsi un lavoro per sostenere la madre e pagarsi gli studi. Uno dei professori della scuola per geometri che frequenta gli trova un impiego presso il suo studio, permettendogli così di iscriversi alla facoltà di architettura e, all'età di 19 anni, di andare a vivere da solo. Francesco è determinato, ma è anche molto giovane, il lavoro, lo studio e la casa esigono impegno e sacrifici, la laurea, che gli porterà una vita migliore, è lontana e lui si sente rabbioso. Spaventato e così solo, ha paura, ma preferisce non ascoltarsi e cerca il rumore del sesso, della droga e delle cattive amicizie, diventa un estremista politico. Poi, a 21 anni, s'innamora di una donna e la segue a Los Angeles: è solo la prima delle tante trasformazioni che si succederanno nella sua vita. La donna che ama è ricca e lui vive tra gli agi, continua a lavorare e completa gli studi fino a che non sente che lei e la sua ricchezza lo soffocano e allora molla tutto e torna a Roma, dove libero e finalmente laureato, può ricominciare allestendo uno studio in casa e dedicandosi totalmente al suo lavoro. A 25 anni, incontra finalmente la donna che sarà il suo grande amore, la sposa e con lei da inizio ad una ricerca spirituale che lo segna profondamente e gli permette di trovare nella fede cattolica il senso profondo della sua vita. Il coraggio, la fede e la grande forza dell'unione matrimoniale, gli permettono di spalancare la sua vita professionale al successo; nasce la sua prima società di progettazione, con la quale realizza grandi opere in Italia ed all'estero, poi, ancora da solo, fonda altre due società. Sono gli anni delle grandi vittorie, delle fortune economiche, della stima e degli omaggi ricevuti da tanti, sempre accompagnato da una fede profonda e dall'amore per la sua donna. E sono anche gli anni di miracoli che mai avrebbe sognato, come i tre figli avuti con la moglie, anche se che la medicina ufficiale lo considera completamente sterile. Poi a 43 anni tutto finisce, una cocente delusione perde Francesco che non ha più fede, vede tutto rompersi e lascia la moglie: sono gli anni dell'esilio. Francesco continua il suo lavoro ma sa di non essere libero, sperimenta delusioni, fallimenti e frustrazioni, malattie e solitudine, poi abbandona la partita e chiude tutto, trascorrendo il suo tempo facendo niente: ormai ha 50 anni e ha

vissuto troppo, perché continuare se tutto è finito? Ecco la notte più buia. Ma in quella notte dell'11 ottobre 2009 tutto cambia di nuovo. Francesco prende in mano una penna e inizia a disegnare cose mai viste prima, disegna tutta la notte, il giorno dopo e la notte successiva e continua così per giorni e giorni. Come guidata da qualcosa di divino, la mano di Francesco, felicemente libera da lui, corre veloce sulla carta bianca e scopre disegni fantastici. Sotto le sue mani esplodono i colori e insolite

geometrie prendono vita. Dopo poche settimane i disegni diventano dipinti, la tecnica pittorica gli è sconosciuta ma lui la impara dipingendo, scoprendosi dentro uno stile che ha già espressioni e

confini molto precisi e che è il suo stile. Ogni quadro è una nuova scoperta, e lui, volutamente, non si documenta, non studia, non vuole apprendere da altri, non guarda ai grandi maestri, perché non

vuole essere condizionato da chi lo ha preceduto. Visalli lavora come un vulcano in eruzione, disegna e dipinge incessantemente quello che l'istinto gli detta, passa attraverso le classiche fasi

creative, dal disegno e poi alla scelta e applicazione del colore, senza lasciarsi intralciare dall'intelletto, senza nessuna mediazione, quasi in trance. Nei suoi quadri il rapporto tra le forme e le combinazioni cromatiche, è figlio di un equilibrio mai cercato e ogni volta trovato fortuitamente. Come se scartasse ogni tela per scoprire i colori che, già presenti, aspettano solo di essere rivelati

da lui. Rimane sbalordito davanti al quadro finito che improvvisamente gli si mostra, come fosse un nuovo frammento, appena scoperto, di quella terra sconosciuta che è questa nuova strana realtà che sta vivendo. Visalli non ha ponderato e scelto di dipingere come alternativa alla passata professione, è la pittura, che irrompendo nella sua vita, ha scelto lui.

martedì 22 settembre 2015

Gattopardo docet...


3°ArtBlitz P.Q.08 - Performance Quadriennale 18/06/2008

"Diciamo No a questa Quadriennale di Roma: non rispetta gli artisti, non investe nella ricerca. Montano le polemiche anche fra i curatori invitati" Questo il titolo dell'articolo di Massimo Mattioli su Artribune del 21 settembre 2015. Questo il link: http://www.artribune.com/…/diciamo-no-a-questa-quadriennal…/ 

Gattopardo docet...
«Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi» . 

Boresta docet... 


18/06/2008 16.58
Mostre: al via Quadriennale


Da domani al 14 settembre un centinaio opere di giovani artisti
Notizia (ANSA) - ROMA, 18 GIUGNO 2008
Con un centinaio di opere realizzate da altrettanti giovani artisti, parte la 15/a edizione della Quadriennale, da domani al 14 settembre. La rassegna, che torna nella sede storica di Palazzo delle Esposizioni, ha vissuto la vernice per la stampa, movimentata dalla protesta dell’artista Pino Boresta, che ha contestato il mancato invito alla rassegna gettando volantini con la scritta ‘Basta con i soliti raccomandati’ e un invito a firmare ‘per mandare Boresta alla Biennale di Venezia 2009′.


Come in un film di Godard (Performance Q.08)
Ho la gola secca e la bocca asciutta, avverto una forte sensazione di disidratazione senza avere in realtà sudato. Appena giro l’angolo decido di entrare nel primo bar che incontro chiedendo un bicchiere d’acqua. Il giovane barista nonostante la confusione è lesto, deve essersi accorto di qualcosa; bevo, ringrazio ed esco. Percorro cinquantina metri e si ripresenta la stessa arsura, il nasone (fontanella) di Piazza Venezia è troppo lontano decido cosi d’approfittare di un altro bar che a Roma non mancano. Questa volta entro con più tranquillità… esco e riprendo il cammino cercando di calmarmi.
Anche questa è andata, non è stato facile ma l’ho fatta.
Avevo calcolato tutto nei minimi particolari.
Arrivo in anticipo alla conferenza, non distribuisco i volantini e mi vado a sedere in fondo alla sala. I primi a parlare sono il presidente della Quadriennale e le autorità, che pur se scontati risulteranno più esaustivi dei 5 curatori preoccupati ad esibirsi secondo un rigoroso ordine alfabetico invece di parlare in sostanza della mostra. Sono lì seduto e come in un film di Godard, vivo, rivivo cento volte la stessa scena. L’ho studiata a fondo ma ogni volta che la riesamino mi vengono le palpitazioni; riesco a rilassarmi solo piegando qualche volantino.
Ci siamo! É arrivato il mio momento, stanno chiedono se ci sono domande da parte del pubblico, io dal fondo della sala mi alzo, agito le braccia e senza aspettare il microfono ad alta voce faccio presente che ho una domanda da fare. Catturata l’attenzione dei presenti domando“Vorrei sapere perché non mi avete invitato?”, c’è qualche risata e qualche applauso che prontamente stoppo reclamando invece più fatti. Attendo qualche istante in cui regna il silenzio e proseguo con la contro mossa studiata per tutelarmi dall’eventualità che uno dei 5 curatori tentasse con una risposta spiritosa di declassare l’evento contestatorio a farsa, e aggiungo; “Anzi! Non me ne frega niente, tanto rispondereste con le solite idiozie”. Allo stesso tempo lancio il primo gruppo di volantini che nell’attesa avevo smazzato e piegato uno si e uno no in modo che tirandoli non rimanessero appiccicati come avviene di solito.
Come da copione il tutto sarebbe dovuto finire qui gettando ancora volantini e niente più, invece il tempo da me stimato per blitz si dilata oltre le mie aspettative cogliendomi impreparato e con gli occhi di tutta quella gente puntati su di me, per fortuna uno dei curatori pensando di dire una cosa fica/intelligente decide di rispondere ugualmente “Perché il tuo lavoro non ci piace”. Andandogli in contro lancio altri volanti e gli domando “Perché tu che cosa sai di me? Cosa conosci del mio lavoro?”. Non risponde.
Improvvisamente qualcuno grida “acchiappalo acchiappalo” !
Questo scatena il mezzo fondista che è in me e scappo all’altro lato della sala approfittando di questo extra time per gettare altri volantini che non avevo preparato, lo faccio a piccoli mucchietti per evitare il solito inconveniente. Quando voglio posso essere molto veloce quasi come Arturo Bandini, o almeno così mi sentivo. Nel frattempo i difensori della patria si organizzano e mi accerchiano, decido cosi di recuperare il mio zaino e di consegnarmi ad uno dei custodi che tento di tranquillizzare con un bacio sulla guancia, ma lui si ritrae. Raggiunto anche dall’agente in divisa della security vengo scortano a braccio fin fuori al palazzo. Nel breve tragitto il vigilante in divisa mi domanda “Ma perché fai queste cose?” Gli rispondo che forse non l’avrebbe mai compreso e non era di certo quello il momento migliore per spiegarlo, ma un giorno lo avrei fatto. Mi ritrovo così fuori dal palazzo sulla scalinata di marmo agitato ma soddisfatto, avevo fatto quello che andava fatto e John Fante sarebbe stato orgoglioso di me. 


Sulla strada del ritorno cerco di immaginare il resto della conferenza:
Uno dei curatori prende la parola e spiega che le scelte sono sempre personali e ci sarà sempre qualcuno che verrà escluso. Allora qualcuno dal pubblico fa presente che chi è deputato a decidere ha il dovere di scegliere gli artisti migliori e non gli amici o amici degli amici, parenti, raccomandati o i primi leccapiedi che ti gironzolano intorno. Bisogna andare in giro per gli studi, informarsi e premiare chi lo merita realmente e non coloro che rientrano nella logica di convenienze personali.
Se ciò fosse avvenuto sarei stato perlomeno felice di aver fatto nascere delle riflessioni in occasione di una sterile conferenza, ma non è andata così. Mi hanno invece raccontato che subito dopo che sono uscito quasi tutti hanno cominciato ad andare via senza trovare il coraggio di fare domande, uno dei curatori pensando di essere spiritoso ha detto“Questo non l’abbiamo organizzato noi” e qualcuno dal pubblico non ad alta voce ha risposto “Peccato è stata la cosa più interessante di tutta la conferenza”.

p.s.
Non mi sarei mai aspettato di ricevere in seguito attestati di stima e solidarietà dalle persone presenti o da chi aveva saputo ciò che era accaduto alla conferenza stampa della Quadriennale. Finanche da alcuni giornalisti che hanno sostenuto di non aver posto domande dopo la mia uscita forzata anche perché amareggiati da com’ero stato trattato per aver posto solo un’ingenua, ingenuissssima direbbe Verdone, domanda (ma tale doveva essere per avere un’efficacia performantica). Domanda dalle quale a detta di molti sarebbe potuto nascere con i curatori, se fossero stati intelligenti e pronti di spirito, un interessante dibattito, invece di farmi portare via a braccio come un criminale per aver lanciato qualche volantino.
Pino Boresta

In foto: Poster Rettificato (una mia opera), il logo della Quadriennale, il Palazzo delle Esposizioni di Roma, Jean Luc Godard, John Fante, Carlo Verdone, io che distribuisco i volantini del progetto F.B., Poster Rettificato (una mia opera).

martedì 26 novembre 2013

Mostra a Rignano: Manuela Da Ponte “VENTI DI SALE”


Il 14 Dicembre a Rignano Flaminio, nell'aula consiliare, la prima mostra personale di Manuela Da Ponte "VENTI DI SALE", esporrà e spiegherà le opere realizzate con una nuova tecnica pittorica, creata da lei dove si uniscono terre di tutto il mondo a suggestioni dettate dal sale, in una conferenza che si terrà alle 17 e 30 ci spiegherà molti dei messaggi presenti nei  quadri insieme all'architetto Luca Sampò fondatore e rappresentante della rivista di Architettura intercontinentale BOUNDARIES.

 

"Il sale è da sempre elemento principe nelle tradizioni di tutti i popoli della cultura mediterranea, gli si riconoscono caratteristiche di chimica legate ai sistemi di conservazione e nello stesso tempo di pulizia.

Grazie a queste capacità nel tempo le stesse caratteristiche si sono radicate nella sfera spirituale dell'uomo e così il sale assume il compito di pulire lo spirito dalle negatività e di conservarne le positività.

Le opere presentate in questa mostra sono realizzate con una nuova tecnica basata proprio sui poteri chimici del sale abbinati ai colori della terra nella sua forma più naturale. Il sale viene posto come strumento che permette l'estrazione del colore più vivo dalle varie terre e riesce a fissarlo nella 
posizione dettata dalla natura stessa degli elementi.

L'opera, grazie a questa libertà assume un linguaggio naturale percettibile a livelli più profondi.

Le terre usate nella maggior parte dei quadri provengono direttamente dai luoghi dipinti o che si legano ai soggetti rappresentati. " (MDP)

 

"Osservando le opere di Manuela Da Ponte raccolte nella collezione Venti di Sale si è subito colpiti dai colori e dal calore delle terre, dei venti e del sale. Tutto ciò ci parla di luoghi lontani, fuori dal tempo, e per questo senza tempo. Ed è bene, e fa bene, soprattutto in un'epoca di politiche ed estetiche radical chic. Sale e terra, elementi essenziali, della vita di tutti in giorni, da sempre, sono ciò con cui Manuela realizza una tecnica che appare subito fresca e nuova, in grado di trasmettere bene il senso della sua opera, risultato di ricerche di lunghi anni.
Da decenni ormai, come ricordava Walter Benjamin già nel lontano 1955, l'opera d'arte è minata nella sua essenza dalle possibilità offerte dall'industrializzazione, per la precisione è la sua "riproducibilità tecnica" a svalutare il suo hic et nunc. L'autenticità dell'opera d'arte è stata erosa per decenni da riproduzioni seriali: «l'autenticità di una cosa è la quintessenza di tutto ciò che, fin dall'origine di essa, può venir tramandato, dalla sua durata materiale alla sua virtù di testimonianza storica. Poiché quest'ultima è fondata sulla prima, nella riproduzione, in cui la prima è sottratta all'uomo, vacilla anche la seconda, la virtù di testimonianza della cosa. Certo, soltanto questa; ma ciò che così prende a vacillare è precisamente l'autorità della cosa. Ciò che vien meno è insomma quanto può essere riassunto con la nozione di "aura"; e si può dire: ciò che vien meno nell'epoca della riproducibilità tecnica è "l'aura" dell'opera d'arte». 
Nei lavori di Manuela ciò che torna ad essere al centro del dibattito artistico è precisamente l'aura dell'opera d'arte; unica, non riproducibile, come non riproducibili sono le sue opere. Le terre, tutte differenti, i sali, l'incontro tra deserto e mare, non possono essere catturati dalla tecnica: sono unici e si disvelano così in tutta la loro autenticità. Addentrarsi nelle opere di Manuela significa mettere in discussione le modalità e il senso comune dell'esperienza dell'arte che, legata alla cultura, diviene incontro tra spirito individuale e universale. Ciò significa, d'altra parte, sperimentare l'estraniamento, non in sé, ma come parte necessaria di un percorso di ritorno al sé. «L'essenza di ogni arte consiste propriamente nel fatto che "essa porta l'uomo di fronte a sé stesso"» (H.-G. Gadamer). 
L'opera d'arte è una necessità, deve permeare la vita di tutti i giorni poiché essa permette all'uomo di trascendere la sua condizione naturale, sviluppando ciò che – per dirla con Hegel – porta "all'innalzamento dello spirito". L'arte, quindi, come componente umanistica, può finalmente divenire un fatto autonomo. «L'universale bisogno dell'opera d'arte va dunque cercato nel pensiero dell'uomo, giacché essa è un modo di porre davanti agli occhi dell'uomo ciò che egli stesso è» : terra, vento e sale."
Luca Sampò

P.S.- ELENCO DEI QUADRI

·         LA GERUSALEMME: la città nel volto di una donna che guarda negli occhi chi le accarezza la guancia di cui si vede solo la mano, una mano maschile trafitta, sulla destra del quadro una fenice con la bandiera della Palestina che come Gerusalemme muore e rinasce dalle ceneri. Anche se la città non invecchia mai ha comunque un marchio a fuoco sulla fronte, la planimetria del Santo Sepolcro.

·         DANILO REA: Rifletto o mi rifletto… Ascolto e sento dentro di me finalmente quel dolce caos di vibrazioni, unico elemento possibile nel quale si genera la luce, unico elemento in cui posso vedermi riflessa. La sua musica è figlia della perfezione casuale: libera, stupita e che stupisce, e nello stesso tempo famigliare. La tecnica del sale creerà una donna rendendola pura come la sua musica, pura come tutte le cose che racchiudono il tutto e non solo il meglio.

·         SOGNO DI COSTANTINO: il quadro è realizzato in scala con l'originale e come gli altri con la tecnica del sale con le terre e i pigmenti dei luoghi costantiniani


 

Altre opere sono visibili sul sito www.pindaro.net

 

Per informazioni 333 8316302

fisso 0761 507605

su facebook : Manuel Da Ponte

 


martedì 18 ottobre 2016

Alessandra Baldoni | A debita distanza | 27.10.2016 h18




                                                           


Alessandra Baldoni

A debita Distanza | A suitable Distance


Per la sua prima personale nella Galleria Sabrina Raffaghello Arte Contemporanea Alessandra Baldoni presenta un progetto liberamente tratto dai Racconti di Franz Kafka a cura di Angela Madesani .

For the Alessandra Baldoni's first solo exhibition at Sabrina Raffaghello Arte Contemporanea we present a project freely adapted by Franz Kafka's tales by Angela Madesani.

















A debita distanza | di Angela Madesani

A debita distanza è il titolo della mostra di Alessandra Baldoni. Il riferimento è in primis a un modo di porsi dell'artista e quindi di chi guarda, è una sorta di auspicio. Sono lavori, realizzati nell'ultimo anno, dedicati alla prosa di Franz Kafka, ad alcuni racconti, lunghi, brevi e a un romanzo. La prima facile, quanto errata lettura, potrebbe essere quella di trovare nelle immagini un'illustrazione dei testi dello scrittore praghese: Un digiunatore, La metamorfosi, La tana, Alberi, Davanti alla Legge, Il cavaliere del secchio, Il messaggio dell'imperatore, Nella colonia penale, Il processo.
L'immagine, invece, nasce per un bisogno intimo, prepotente dell'artista di riuscire a rendere quanto ha metabolizzato, ha fatto proprio di una serie di scritti di uno dei più complessi scrittori del XX secolo. Baldoni non segue pedissequamente una traccia scritta. Non le interessa. «Cerco sempre di appendermi alle parole come un'acrobata e portarmi via delle visioni, dei sentimenti. Chiuso, infetto, solitudine, abbandono, musica, tempo fermo, tempo rotto, mela, rovina. Queste sono alcune delle parole sopra a cui ho poggiato le immagini». Attraverso il racconto, Kafka riesce a darci degli spaccati esistenziali, impensabili da restituire semplicemente con delle immagini. Bisogna tenersi, appunto, a debita distanza, farli propri e quindi sviluppare, come ha fatto Baldoni, delle immagini che evochino, che diano vita ad atmosfere, a spaccati. Il racconto dal quale è partita è Un digiunatore[1]. Un uomo digiuna per mestiere, per emozionare un pubblico, alla ricerca di sensazioni forti. È un circense, un cosiddetto fenomeno da baraccone, vive in una gabbia. Un impresario si arricchisce alle sue spalle.
Ma la gente, si sa, si stanca presto e piano piano il pubblico passa davanti al suo abitacolo senza accorgersi di lui. La reazione dell'uomo è quella di spegnersi giorno dopo giorno, come una candela per poi scomparire. Ci si chiede: cosa lo ha spinto a diventare un digiunatore? Il fatto che nessun cibo gli piacesse. La risposta è surreale, incredibile. Vi è un'ironia di fondo che troviamo in molti frangenti kafkiani. Quando il digiunatore muore, la gabbia resta vuota e al suo posto arriva una pantera, che, invece, mangia di grande appetito. In più di un punto dello scritto torna la parola malinconia. È la malinconia del quotidiano, dell'inesorabile ossessione dell'esistenza che segna la vita di alcuni di noi. Il racconto è particolarmente attuale, in fondo parla di audience, di successo e di abbandono. Mi torna in mente un personaggio tragico di Charlie Chaplin, il clown Calvero di Luci della ribalta, prima acclamato e poi dimenticato dal pubblico capriccioso.
L'impresario è presente solo nelle prime due foto. Nell'ultima rimangono dei residui di porte, finestre e un orologio. Sono messinscena garbate, pochi gli elementi, ma essenziali, immediatamente riconoscibili.
Quando viene pubblicato La metamorfosi, il suo racconto più noto, nel 1915, dall'editore Kurt Wolff a Leipzig, lo scrittore preferisce che non venga illustrato in copertina il grande insetto come del resto all'interno del volume. Nelle foto di Baldoni tutto è coperto con del cellophane, è una sorta di presa di distanza dalle cose. Un personaggio vestito con un abito da sera nero popola le scene. Non sempre si riesce a dare una spiegazione delle cose. Il vero protagonista è il tempo, quello inesorabile dell'esistenza. Una sveglia scandisce i nostri attimi. In fondo il nostro non è che un cammino verso la morte: ed è subito sera. Così Salvatore Quasimodo.
Nei suoi set i racconti sono messi in scena in una chiave del tutto personale, simbolica.
«Sono solita dire che scrivo piccole sceneggiature per uno scatto, la scrittura è il diario di
carta da cui si animano le visioni. Sono sostanzialmente una narratrice, amo le storie, le cerco, le rubo, le mescolo le scompongo. La scrittura è l'ossatura che sostiene le immagini»[2].
I personaggi sono vestiti in maniera particolare con abiti d'epoca, ma la sua non è una ricostruzione filologica. Qualcosa deve essere lasciato all'immaginazione di chi guarda, non tutto va svelato. Lo spettatore ha un ruolo attivo.
Alcuni lavori sono costituiti da una serie di immagini, altri da una sola. Così per il racconto lungo La tana. Un animale, un uomo, non è dato saperlo, vive in una tana che si è costruito. Ma percepisce rumori molesti, che non riesce a distinguere. Si avverte la presenza di una bestia, che scappa. È una metafora anche qui dell'umana condizione, di certi esseri che vivono lontani, protetti dal mondo all'interno della loro tana, timorosi di avvertire altre presenze. Un braccio fuoriesce da una sorta di costruzione bianca. È un lavoro che presenta pochi trucchi. È tutto molto semplice, senza esasperazioni di sorta.
Tra i lavori più intensi, quello dedicato al brevissimo racconto Alberi del 1903-1904, quasi in forma di poesia, che accenna all'apparenza, come i tronchi nella neve stanno gli esseri umani. Parrebbe che un solo alito di vento possa spazzarli via. Invece non è possibile, perché essi sono saldamente attaccati al terreno. Ma è certo? Perché anche questa è, forse, soltanto apparenza. Un giovane è all'angolo di una stanza segnata dal corso del tempo. Non alza gli occhi allo spettatore, ai suoi piedi sono due fustelli di legna, leggeri e facilmente rimovibili.
Davanti alla legge del 1914, è un racconto parabola, che verrà poi inserito ne Il processo,
qualche anno più tardi. È il tentativo da parte di un uomo di campagna di arrivare alla legge. Per farlo deve varcare un portone, davanti al quale è un guardiano che lo spaventa spiegandogli che, varcata la soglia, è ancora più difficile arrivarvi. L'uomo decide di attendere, ma il tempo passa. Un attimo prima di morire il guardiano gli rivela che: «Qui non poteva entrare nessun altro, poiché questa porta era destinata a te, e a te soltanto. E adesso me ne vado e la chiudo». È la storia di ciascuno di noi. Non siamo che dei "soli", parafrasando il titolo di una bella canzone di Giorgio Gaber.
Il cavaliere del secchio è costituito da una serie di quattro fotografie. La prima e l'ultima sono dei paesaggi desolati, malinconici. Un uomo povero chiede un secchio di carbone al carbonaio per riscaldarsi. Quando la moglie del commerciante si accorge che l'uomo non ha soldi per pagare, gli nega il carbone. L'uomo se ne va a cavallo del suo secchio vuoto, probabilmente verso la morte. Sono immagini malinconiche sui toni freddi del grigio, del blu, del celeste. Anche qui il protagonista è l'uomo nella sua condizione di animale solo.
Per certi versi vicino a quest'ultimo è la serie di immagini su Il messaggio dell'imperatore, un racconto del 1917. L'imperatore sta morendo, una folla assiste alla sua morte, ma ugualmente affida a un messaggero un messaggio da consegnare a un "miserabile suddito". Messaggio che non arriverà mai a destinazione, perché il messaggero si perde nei meandri del maestoso palazzo imperiale. Mi pare di potere riscontrare dei riferimenti con il tramonto dell'impero asburgico. Francesco Giuseppe è morto nel 1916, confinato nel semplice letto di ferro della sua stanza del palazzo in stile pompier, costruito per celebrare un fasto ormai agli sgoccioli. Nelle immagini di Baldoni è come un blow up, un avvicinamento al dettaglio: un paesaggio con un albero e una figura lontana, quindi il volto dell'imperatore, un giovane, per poi focalizzarsi su un guanto di ferro, circondato da fiori e da un rotolo di carta, che presumibilmente contiene un messaggio.
Baldoni va oltre l'apparenza della scrittura, cerca di cogliere i significati reconditi. Se la macchina per la tortura potrebbe apparire il fulcro di Nella colonia penale. Così non è per lei, che legge tutto questo come un espediente spettacolare che sceglie di non rappresentare. Il soggetto del racconto è, piuttosto, la colpa, la condanna senza appello in un iniquo quanto soggettivo sistema giudiziario, in cui a dominare è la frustrazione dell'uomo. Nelle foto sono persone, paesaggi. «Ho sovrapposto la figura del soldato condannato e dell'ufficiale. Nel racconto ad un certo punto i ruoli si invertono, l'ufficiale (che per due volte si lava le mani) libera il soldato condannato e si mette al suo posto.
Il soldato partecipa nel far funzionare la macchina, non scappa, scampata la morte. Resta lì, dentro lo show incomprensibile della morte. In fondo sono entrambi condannati da una colpa senza nome, come tutti noi, ciò che conta è solo che carne e sangue siano il pegno da pagare ad un verdetto superiore».
Una serie di immagini sono dedicate anche al romanzo Il Processo, uscito incompiuto nel 1925, dopo la morte dello scrittore, che desiderava venisse bruciato. Vi sono qui due atteggiamenti, uno di passiva accettazione del non funzionamento, privo di qualsiasi logica, l'altro di razionalità e lucidità da parte di Josef K., accusato, arrestato e processato per motivi misteriosi. Immagini straordinarie di quest'opera sono quelle realizzate da Orson Welles[3] nel suo film dedicato all'opera di Kafka. Sono immagini di angoscia, di chiusura, proprio come quelle di Baldoni.
Baldoni riesce a sottolineare la surrealtà, l'assurdità della situazione. Il protagonista delle immagini è coperto da una maschera di carta, che gli impedisce di guardarsi attorno per essere finalmente collocato in una grande stanza con le mani e i piedi legati, sempre privo di uno sguardo. È impossibile fare chiarezza, riuscire a districarsi. Tutto è troppo volutamente complesso. Dare un senso alla nostra esistenza è spesso fallimentare, ingoiati quotidianamente in un meccanismo dal quale è difficile, forse, impossibile uscire.

[1] Uno dei pochissimi che Kafka non chiede di distruggere dopo la sua morte all'amico Max Brod.
[2] A.Baldoni in M.Cresci, Mitdenken Un pensiero per Alessandra Baldoni, 2009 Bergamo.
[3] Il processo, 1962, regia di Orson Welles.



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