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lunedì 12 marzo 2012

DARK ISLAND di GUY LYDSTER


a cura di Lodovico Pignatti

21 aprile – 9 giugno 2012


Galleria B4 | Via Vinazzetti, 4B | Bologna












Comunicato Stampa

Sabato 21 aprile 2012 sarà inaugurata alla Galleria B4 di Bologna “Dark Island”, grande personale dello scultore neozelandese Guy Lydster, a cura di Lodovico Pignatti. Dopo il successo ottenuto in occasione di Arte Fiera OFF 2012, che l’ha visto protagonista di importanti spazi espositivi come lo Spazio Fabrizio Cocchi, la splendida cornice di Villa Hercolani, dimora cinquecentesca appena fuori le mura medievali di Bologna e la Galleria Art to Design, tappe che l’hanno reso ancor più noto a livello nazionale, Lydster rinnova l’unicità intrinseca e figurativa della sua opera con gli Headscapes inediti di Dark Island.

Dark Island, evoluzione naturale del lavoro dell’artista e delle sue continue sperimentazioni, si compone di una ventina di Headscapes - unione di Head e Landscapes (teste-paesaggi) - che evocano un viaggio metaforico verso la riscoperta di quel terreno oscuro chiamato infanzia.

La mostra si articola negli spazi della galleria che scandiscono i tre momenti del viaggio verso: la ricerca di un luogo, l’approdo alla meta e la separazione. L’esposizione è da considerarsi percorso completo nell’opera di Lydster; sono rappresentati tutti i momenti di produzione dell’opera, dalla fase iniziale più espressionista e abbozzata, che grazie all’uso della creta cruda giunge ad effetti sorprendenti, attraverso quella più dura e ricca di dettagli, fino alla fase ultima, in cui primeggia la linea compiuta del bassorilievo. Compare per la prima volta la colorazione, realizzata con pigmenti rossi, gialli e verdi, che mescolati alla creta ancora cruda stimolano in maniera sorprendente l’espressività.

Nella prima sala, il viaggiatore-spettatore è accolto da un gruppo di Headscapes che indicano un percorso da navigare.
Sono raffigurate diverse isole, rappresentazioni di possibili mete da raggiungere, tra cui un’opera fondamentale dal titolo Land of the Long White Cloud, (terra dalla lunga nuvola bianca), traduzione della parola in lingua maori “Aotearoa”, termine che indica la Nuova Zelanda. In contrasto con tali immagini di mare e isole sparse, realizzati in creta bianca, si erge centrale l’opera Dark Island, approdo del viaggiatore. Circondata da un mare mosso e verdastro, l’isola scura esercita una forza di attrazione sullo spettatore come se fosse lui stesso un nuotatore che attraversa torbide acque. Accanto, disposte a terra, un arcipelago di teste/isole si stende sul mare del pavimento.

Nella seconda sala il viaggio continua verso il cuore del terreno raggiunto. L’occhio del viaggiatore esplora la riva e si muove verso le forme organiche e i colori che fioriscono all’interno dell’isola. In questa dimensione originaria l’artista stabilisce un rapporto pacifico con i luoghi della memoria, la presenza della barriera naturale, il dolore nell’asprezza del paesaggio, e perfino la morte (è significativa la simbolica presenza di un gatto nero in agguato, bello, ma inquietante).


Il percorso si chiude nello spazio esterno della Galleria con gli Headscapes che simboleggiano gli emigranti, la partenza verso l’ignoto, in cui i viaggiatori sono muniti solamente di nostalgia e di proprie memorie. Incisi sui volti di un grappolo di grandi teste, vari squarci naturali dell’isola vengono conservati e spediti verso l’orizzonte e forse verso un’altra isola. L’esperienza straziante dell’emigrante è la metafora della difficile separazione fisica e spirituale dal viaggio ed emblema del forte legame uomo-natura. L’artista ci invita a scoprire quanto la natura sia una forza non solamente più grande di noi, ma anche una forza che cresce in noi.

A completare il percorso, una decina di disegni dell’artista che esprimono la percezione dell’ambiente visto dal mare; ossia la rigida geometria dell’immenso paesaggio, risultato delle diverse congiunzioni naturali e marine.

La mostra segna anche il percorso della vita che ci vede protagonisti di un viaggio interiore in cui la natura è il mezzo che ci conduce all’essenza e invita ad una riflessione sulla nostra presenza nel mondo.



Guy Lydster scultore neozelandese nasce a Auckland nell’aprile del 1955, ma si trasferisce con la famiglia a Vancouver molto presto.
Già da bambino scopre l’amore per l’arte, inizia a studiare teatro, poi si dedica alla pittura e infine arriva alla forma simbolica a lui più congeniale: la scultura.
Nei primi anni 80 si trasferisce a Bologna per studiare all’Accademia delle Belle Arti e finito il suo percorso universitario decide di rimanere a vivere e lavorare nel capoluogo emiliano.

Per Guy Lydster sono stati di fondamentale importanza per lo sviluppo del suo percorso di scultore il riferimento e lo studio di Henry Moore, Constantin Brancusi e Alberto Giacometti entrambi, come lui, intrisi di naturalismo e essenzialità; ma ancora di più si nota la forte ispirazione primitiva che ha trovato nei suoi luoghi di origine. L’arte eschimese, quella indiana e quella imponente e spirituale dell’Isola di Pasqua trovano nella scultura di Guy un importante sviluppo.

Inizia il suo lavoro cercando una pietra che possa fargli da bozzetto per l’opera, quando l’idea è chiara crea una base sulla quale innalza un asse verticale e alla quale aggiungerà materiale fino a creare una testa. Quando la forma è finita inizia a svuotarne il cranio, tagliandola con piccole e controllate incisioni da neurochirurgo. Lo svuotamento collabora anch’esso alla creazione della forma che si plasma dall’interno non seguendo un canonico modellamento anatomico. Le parti del cranio vengono poi ricomposte; aggiungendo materiale per la memorizzazione del paesaggio, lo scultore procederà ad un secondo svuotamento fino al raggiungimento della giusto equilibrio tra mente e corpo.
I materiali utilizzati sono creta, argilla, marmo, pietra e travertino.


Agenzia di Comunicazione:
Culturalia di Norma Waltmann
Agenzia di comunicazione
Bologna - Vicolo Bolognetti 11
tel : +39-051-6569105
fax: +39-051-2914955
mob: +39-392-2527126
email: info@culturaliart.com
web: www.culturaliart.com

lunedì 16 gennaio 2012

GLI HEADSCAPES DI GUY LYDSTER


Gli Headscapes di Guy Lydster

in mostra a:

Spazio Fabrizio Cocchi

Villa Hercolani

Galleria Art to Design


in occasione di ARTEFIERA OFF 2012

Comunicato Stampa

Guy Lydster è uno scultore neozelandese che vive e lavora a Bologna.
Dal 25 Gennaio 2012 in occasione di Artefiera s’inaugurerà la mostra “Headscapes: tracce di presenze" presso lo Spazio Fabrizio Cocchi di via Castiglione 17/d, un progetto a cura di Eli Sassoli de' Bianchi in collaborazione con l'interior decorator Fabrizio Cocchi che ne cura l'allestimento. “Headscapes: tracce di presenze" è un percorso completo sull’opera dello scultore; saranno esposte numerose sculture in terracotta e creta cruda. Accolgono il visitatore nell’esposizione tre Headscapes, lavorate su creta rossa e creta raku, che dialogano come attori su un palcoscenico e mettono in moto ricordi legati a paesaggi fluviali. Sono “Il fiume nascosto”, “Cascata” e “Paesaggio collinare”, condensazioni pulsanti di memorie naturali, capaci di generare in chi le osserva forti sensazioni di benessere ed equilibrio con l’ambiente. Il percorso prosegue con la visione di numerose opere e bozzetti e si conclude nel suggestivo cortile interno, in cui, “La Donna Isola” e “L’Uomo Stellato” sussurrano al visitatore i loro ricordi prima di lasciarlo scappare con i propri.

Dopo diverse ricerche tese a sperimentare nuovi linguaggi per trovarne uno autenticamente proprio, lo scultore arriva alla sua opera magistrale: gli “Headscapes” termine per indicare la fusione tra Head e Landscapes.
Impossibile dimenticarli una volta visti; si rimane fortemente impressionati sia per l’innovazione estetica, sia per la forza emotiva che suscitano. L’opera, rappresentazione figurativa dei ricordi immagazzinati dalla mente e quindi proiettati all’esterno, diventa essa stessa materia di memoria e si riflette come uno specchio sul volto sorpreso di chi la guarda. La testa si fonde con la natura, i tratti anatomici vengono sostituiti dalla memoria del paesaggio che compare sul volto come un diario di ricordi. Il ritratto rappresenta la memoria di ciò che gli occhi hanno visto: è una specie d’incameramento respiratorio, ricrea materialmente l’esperienza vissuta come segno della propria identità. Come sottolinea la curatrice Eli Sassoli de’ Bianchi …”Gli Headscapes assurgono a "presenze" sulle quali il segno dell'artista lascia tracce simboliche: sono Teste a volte "cosmiche", altre "fluviali" o "agresti", sempre imprescindibilmente e inscindibilmente legate alla Grande Madre Natura. Guy conferisce all'uomo e alle sue facoltà intellettive ("cogito: ergo sum") il ruolo di arbiter super partes rispetto ad una natura da amare e da tutelare in quanto fondamentale per la nostra stessa sopravvivenza di specie…”.

Altre due locations ospitano in contemporanea opere di quest’artista: presso Villa Hercolani, magnifica dimora storica cinquecentesca appena fuori le mura medievali di Bologna e presso la Galleria Art to Design.
Il Parco di Villa Hercolani farà rivivere Headscapes di grandi dimensioni nella mostra “Rafts of memories”, tutte scolpite in marmo di Carrara e di Verona che per volere della Famiglia Hercolani entreranno a far parte di un’esposizione permanente e saranno visitabili su appuntamento. “Il Delta”, un Headscape in marmo bianco di Carrara, è un ricordo dell’acqua, “The Climber”, in marmo rosso di Verona, attraverso la roccia simboleggia la sfida e “Rafts of memories” è una zattera che sostiene i viaggiatori e le loro memorie che sono l’essenza stessa dei luoghi. All’interno della ghiacciaia della Villa “La strada” un’orchestrazione di otto teste in creta cotta e raku cruda animano un discorso nel quale il visitatore attento viene coinvolto.


Alla Galleria Art to Design di Via Porta Nova 12, l’artista espone un Headscape di travertino bianco, già visibile da adesso negli spazi della vetrina.

Anticipiamo “Dark Island” la mostra in programma ad aprile alla Galleria B4 di Bologna. Le opere, tutte inedite e realizzate per l’occasione sia per spazi interni sia per esterni, rappresenteranno un ulteriore passo avanti nella ricerca dello scultore neozelandese e segnano un decisivo perfezionamento nell’uso dei materiali e delle tecniche già sperimentate, in quanto segnate dalla comparsa del colore sulla superficie; Guy studiando le possibilità estetiche e figurative dell’utilizzo della creta, decide di non usare questo materiale in maniera accademica, ma al contrario di sperimentare. La creta sarà lasciata essiccare naturalmente, senza forno, rimarcando ancora una volta il potere naturale delle sue creazioni.


Guy Lydster scultore neozelandese nasce a Auckland nell’aprile del 1955, ma si trasferisce con la famiglia a Vancouver molto presto.
Già da bambino scopre l’amore per l’arte, inizia a studiare teatro, poi si dedica alla pittura e infine arriva alla forma simbolica a lui più congeniale: la scultura.
Nei primi anni 80 si trasferisce a Bologna per studiare all’Accademia delle Belle Arti e finito il suo percorso universitario decide di rimanere a vivere e lavorare nel capoluogo emiliano.

Per Guy Lydster sono stati di fondamentale importanza per lo sviluppo del suo percorso di scultore il riferimento e lo studio di Henry Moore, Constantin Brancusi e Alberto Giacometti entrambi, come lui, intrisi di naturalismo e essenzialità; ma ancora di più si nota la forte ispirazione primitiva che ha trovato nei suoi luoghi di origine. L’arte eschimese, quella indiana e quella imponente e spirituale dell’Isola di Pasqua trovano nella scultura di Guy un importante sviluppo.

Inizia il suo lavoro cercando una pietra che possa fargli da bozzetto per l’opera, quando l’idea è chiara crea una base sulla quale innalza un asse verticale e alla quale aggiungerà materiale fino a creare una testa. Quando la forma è finita inizia a svuotarne il cranio, tagliandola con piccole e controllate incisioni da neurochirurgo. Lo svuotamento collabora anch’esso alla creazione della forma che si plasma dall’interno non seguendo un canonico modellamento anatomico. Le parti del cranio vengono poi ricomposte; aggiungendo materiale per la memorizzazione del paesaggio, lo scultore procederà ad un secondo svuotamento fino al raggiungimento della giusto equilibrio tra mente e corpo.
I materiali utilizzati sono creta, argilla, marmo, pietra e travertino.

Per informazioni al pubblico:
Guy Lydster 380-3946893

Per informazioni alla stampa:

Culturalia di Norma Waltmann
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